gru. Finalmente !

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foto di Massimo Giuliani

 

volti e segni di un terremoto

foto di Roberto Grillo

Roma, complesso del Vittoriano, 26 giu

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nuova carta della sismicità

di Nicola Facciolini, su http://www.improntalaquila.org, giu 2013

E_cartasimsicita 2013_A3_Layout 1“Niuno però presagì prima dell’avvenimento quello, che dopo l’avvenimento di poter naturalmente presagire dicevano quasi tutti” (Anton Ludovico Antinori). Nel mese di Maggio 2013, come in Aprile, sono stati registrati più di 1733 terremoti in Italia dalla Rete Sismica Nazionale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con una media di quasi 60 eventi al giorno. Tra i terremoti di Maggio non ci sono stati eventi di magnitudo maggiore di 4. Ma non ci sono più scuse. La nuova Carta della sismicità in Italia, pubblicata dall’Ingv, riporta la localizzazione degli oltre 50.000 terremoti con magnitudo maggiore di 1.6, avvenuti sul territorio nazionale italiano dal 2000 al 2012. In questi 13 anni l’Italia è stata colpita da numerosi importanti terremoti oltre ai tre drammatici eventi di San Giuliano di Puglia del 2002, di L’Aquila del 6 Aprile 2009 (Mw=6.3; 309 morti; 1600 feriti) e dell’Emilia Romagna del 2012. Nessun sisma, però, in questo periodo ha avuto magnitudo momento Richter superiore a 6.3, per cui secondo gli scienziati questo rappresenta uno dei momenti più lunghi della storia sismica del nostro Belpaese senza un forte terremoto altamente distruttivo. L’ultimo è quello avvenuto il 23 Novembre 1980 in Irpinia e Basilicata. La nuova Carta della sismicità italiana mostra che i terremoti avvengono principalmente nella parte superiore della crosta, a profondità minori di 15 chilometri. Continua a leggere ‘nuova carta della sismicità’

cemento, abusi e condoni

…. le tentazioni del governo

di Salvatore Settis, da Repubblica, 21 mag., su 

 La demeritocrazia incalza e, col favore delle “larghe intese”, occupa il Palazzo, e già il Pdl torna a intonare la litania dei condoni. Qualche curriculum: Giancarlo Galan ha presieduto la regione Veneto negli anni (1995-2010) che l’hanno issata in cima alle classifiche per la cementificazione del territorio, 11% a fronte di una media europea del 2,8 %; da ministro dei Beni culturali, ha chiamato come consigliere per le biblioteche Marino Massimo De Caro, che col suo consenso è diventato direttore della biblioteca dei Girolamini a Napoli, dove ha rubato migliaia di libri (è stato condannato a sette anni di galera per furto e peculato). 

Per tali benemerenze, Galan oggi presiede la Commissione Cultura della Camera. Maurizio Lupi ha presentato nel 2006 un disegno di legge che annienta ogni pianificazione territoriale in favore di una concezione meramente edificatoria dei suoli, senza rispetto né per la loro vocazione agricola né per la tutela dell’ambiente. Ergo, oggi è ministro alle Infrastrutture e responsabile delle “grandi opere” pubbliche. La commissione Agricoltura del Senato è naturalmente presieduta da Roberto Formigoni, ricco di virtù private e pubbliche, fra cui spicca la presidenza della Regione Lombardia negli anni (1995-2012), in cui è diventata la regione più cementificata d’Italia (14%) battendo persino il Veneto di Galan. Flavio Zanonato, in qualità di sindaco di Padova, ha propugnato la costruzione di un auditorium e due torri abitative a poca distanza dalla Cappella degli Scrovegni, mettendo a rischio i preziosissimi affreschi di Giotto: dunque è ministro per lo Sviluppo economico, che di Giotto, si sa, può fare a meno. 

Vincenzo De Luca come sindaco di Salerno ha voluto il cosiddetto Crescent o “Colosseo di Salerno”, 100 mila metri cubi di edilizia privata in area demaniale che cancellano la spiaggia e i platani secolari: come negargli il posto di viceministro alle Infrastrutture? Marco Flavio Cirillo, che a Basiglio (di cui è stato sindaco), presso Milano, ha pilotato operazioni immobiliari di obbedienza berlusconiana, disseminando nuova edilizia residenziale in un’area dove il 10% delle case sono vuote, ascende alla poltrona di sottosegretario dell’Ambiente. E quale era mai il dicastero adatto a Nunzia Di Girolamo, firmataria di proposte di legge contro la demolizione degli edifici abusivi in Campania, per l’incremento volumetrico mascherato da riqualificazione energetica e per la repressione delle “liti temerarie” delle associazioni ambientaliste? Ma il ministero dell’Agricoltura, è ovvio.

Che cosa dobbiamo aspettarci da un parterre de rois di tal fatta? Primo segnale, l’onorevole De Siano (Pdl) ha presentato un disegno di legge per riaprire i termini del famigerato condono edilizio “tombale” del 2003, estendendoli al 2013, con plauso del condonatore doc, Nitto Palma, neopresidente della commissione Giustizia del Senato, e con la scusa impudica di destinare gli introiti alle vittime del terremoto. Se il governo Letta manterrà la rotta del governo “tecnico” che gli ha aperto la strada col rodaggio delle “larghe intese”, si preannunciano intanto cento miliardi per le cosiddette “grandi opere”, meglio se inutili, con conseguente criminalizzazione degli oppositori per “lite temeraria” o per turbamento della pubblica quiete. Più o meno quel che è successo all’Aquila al “popolo delle carriole”, un gruppo di volontariato che reagiva all’inerzia dei governi sgombrando le macerie del sisma, e venne prontamente disperso e schedato dalla Digos. 

In compenso, i finanziamenti per le attività ordinarie dei Comuni e delle Regioni sono in calo costante, e sui ministeri-chiave (come i Beni culturali) incombono ulteriori tagli selvaggi travestiti da razionale spending review, come se un’etichetta anglofona bastasse a sdoganare le infamie. La tecnica dell’eufemismo invade le veline ministeriali, e battezza “patto di stabilità” i meccanismi che imbrigliano i Comuni, paralizzano la crescita e la tutela ambientale, scoraggiano gli investimenti, condannano la spesa sociale emarginando i meno abbienti, comprimono i diritti e la democrazia. 

Ma il peggior errore che oggi possiamo commettere è di fare la conta dei caduti dimenticando la vittima principale, che è il territorio, la Costituzione, la legalità. In definitiva, l’Italia. L’unica “grande opera” di cui il Paese ha bisogno è la messa in sicurezza del territorio e il rilancio dell’agricoltura di qualità. Il consumo di suolo va limitato tenendo conto di parametri ineludibili: l’enorme quantità di invenduto (almeno due milioni di appartamenti), che rende colpevole l’ulteriore dilagare del cemento; gli edifici abbandonati, che trasformano importanti aree del Paese in una scenografia di rovine; infine, il necessario rapporto fra corrette previsioni di crescita demografica e pianificazione urbana. Manodopera e investimenti vanno reindirizzati sulla riqualificazione del patrimonio edilizio e sulla manutenzione del territorio.
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Su questi fronti, il governo Monti ha lasciato una pesante eredità. Ai Beni culturali, Ornaghi ha sbaragliato ogni record per incapacità e inazione; all’Ambiente, Clini, che come direttore generale ne era il veterano, ha evitato ogni azione di salvaguardia, ma in compenso si è attivato in difesa di svariate sciocchezze, a cominciare dallo sgangherato palazzaccio di Pierre Cardin a Venezia. Ma dal governo Monti viene anche un’eredità positiva, il disegno di legge dell’ex ministro Catania per la difesa dei suoli agricoli e il ritorno alla disciplina Bucalossi sugli oneri di urbanizzazione: un buon testo, ergo lasciato in coda nelle priorità larghintesiste di Monti & C. e decaduto con la fine della legislatura.

Verrà ripreso e rilanciato il ddl Catania? Vincerà, nel governo Letta, il partito dei cementificatori a oltranza, o insorgeranno le voci attente alla legalità e al pubblico bene? Il Pd, sempre opposto ai condoni, riuscirà a sgominare la proposta di legge dell’alleato Pdl? Anche i forzati dell’amnesia, neosport nazionale assai in voga in quella che fu la sinistra, sono invitati non solo a sperare nei ministri e parlamentari onesti (che non mancano), ma anche a ripassarsi i curricula devastanti dei professionisti del disastro. 

Se saranno loro a vincere, sappiamo che cosa ci attende. Se verrà assodato che il demerito è precondizione favorevole a incarichi ministeriali, presidenze di commissioni ed altre incombenze, si può preconizzare la fase successiva, quando il supremo demerito, se possibile condito di qualche condanna penale, sarà conditio sine qua non per ogni responsabilità di governo. Che cosa dovremmo aspettarci da questa nuova stagione della storia patria? Il capitano Schettino alla Marina? Previti alla Giustizia? Berlusconi al Quirinale?
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quattro anni fa….per non dimenticare

da http://www.giornaleingegnere.it. 

Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, n. 5 – Maggio 2013

pag 1 evid

Oggi ricordiamo il terremoto dell’Aquila,
ma potremmo anche ricordare i 50
Comuni terremotati in Emilia nel 2012,
quelli alluvionati nello Spezino nel
2011, quelli franati dell’area di Messina
nel 2009; tutte storie di morti, di famiglie
spezzate, di distacchi forzati.
Questo ricordo è anche un invito a riflettere
sulla nostra capacità di fare e
sul nostro dovere di mantenere le promesse,
in tempo. Per rispetto verso le
vittime, ma anche per poterci guardare
ancora allo specchio. (F.L.)

pagina 12

Caro Amico, forse pensavi che mi fossi dimenticato del nostro appuntamento annuale; invece no. Confesso di essermi chiesto se rinnovare questo appuntamento: so che non potrai darmi buone notizie, so che non mi parlerai di alcuno scatto di reni o di orgoglio, ma dell’ennesimo “stallo”. Allora perchè parlarne? Perchè ci sono stati 309 morti e ci sono ancora migliaia di persone che chiedono rispetto. Perchè c’è una comunità, una città, un pezzo della nostra storia che si stanno disfacendo e con loro un pezzo del nostro futuro. Questa volta non ti chiedo di parlarmi di qualcosa in particolare; dimmi che hai visto un fiore, un sorriso, un neonato, magari un’aquila, un segno del destino. Un abbraccio.
Franco Ligonzo

Caro Ingegnere, sono lusingato dalla fiducia che mi rinnovi e lieto del tuo interesse nel chiedermi di parlarti dell’Aquila. Quattro anni dopo, avrei sperato di poterti dare, finalmente, qualche notizia e qualche elemento che ne misurasse la rinascita concreta e la ricostruzione; specialmente qualche segnale di recupero del suo centro storico, che tanto mi è stato caro e che ne costituiva l'”anima” e la “personalità” urbana e sociale, visto che il resto è una informe, anonima e affastellata periferia, già degradata nel momento stesso in cui nasce e che continua a svilupparsi caoticamente. In mancanza di notizie edificanti e di segnali di ottimismo, ho pensato di girare la tua richiesta alla mia amica Luisa Nardecchia, aquilana sensibile e colta, insegnante di lettere e scrittrice, terremotata e ospite da oltre 3 anni di un angusto alloggio in uno dei diciannove quartieri della New Town. Luisa lotta da mesi, da anni, disperatamente e cocciutamente, come solo un aquilano sa fare, per ricostruire la propria casa che sorgeva in una bellissima area alberata del centro cittadino. Luisa lotta contro tutti gli ostacoli frapposti dalla burocrazia statale e locale, dai regolamenti cervellotici inventati per l’occasione, da piccoli e grandi problemi tecnici e amministrativi, dalla mancanza e dalle malversazioni e gli sprechi dei soldi, dalle interminabili beghe che avvelenano i rapporti tra gli amministratori, i tecnici, i cittadini. ( Sulle prime ) Luisa ha accolto entusiasta la mia richiesta, ma poi, alla mia sollecitazione, mi ha scritto queste parole: “… .. in questo momento non ci riesco! Sto troppo incazzata per la mia casa…..Non so se hai visto la foto sulla mia bacheca… (di FaceBook,  ndr). Sono furibonda… Non riesco a scrivere neanche mezza sillaba, vorrei solo mordere GRRRRRRR “.

Caro Franco, quella che vedi nella foto, è “la ricostruzione di Luisa”; questa è L’Aquila. Quattro anni dopo.  

Un caro saluto. 

Adriano Di Barba

le differenze 

Il bisogno di ricordare, il bisogno di dimenticare

Tra questi due bisogni viviamo lacerati e spaccati, all’Aquila. Ovunque si sta sotto il giogo di questi due padroni tiranni, che si odiano e baruffano nella testa di noi cittadini. Il primo, il bisogno di ricordare, ti sveglia al mattino quando apri gli occhi e sei fragile, caldo di sonno. Come un martello ti picchia e ti dice “IO ESISTO, RICORDAMI! NON LASCIARMI MORIRE ANCORA!”. Ha il volto di chi non c’è più, dei muri dei vicoli antichi, dei selciati per giocare a campana, dei portoni di strade percorse per mano quando eri creatura, ha larghe finestre a mosaico, strade lucide di pioggia, lampade accese, e pane sulla porta. Il bisogno di dimenticare, invece, ti assale quando ti lavi la faccia e poi la sollevi allo specchio. Quell’acqua fredda caccia via il bisogno di ricordare come fosse una mosca, e ti grida all’orecchio: “DIMENTICA! VAI AVANTI O PERDI ANCHE IL POCO CHE RESTA”. Ha il volto dei ragazzi, dei giovani, delle case nuove, ha la voglia di ridere, ha l’odore dei mandorli, dei peschi fioriti, ha i sogni di un nuovo palazzo, odora di tintura fresca, e ha un balcone colmo di gerani che ti chiama e vuol vederti affacciato. Scarti di lato. E inizi la giornata chiudendo i due bisogni tiranni, ricordare e dimenticare, in un angolo della testa, una gattabuia in cui li lasci a litigare. Lavori mangi fai la spesa ami sorridi cucini dormi perfino, con il rumore in sottofondo di quei due che baruffano, fastidioso ronzio dei due opposti, uguali e contrari, perennemente in lite.
Uno si affaccia e ti racconta dell’Aquila bella té, poi l’altro ha il sopravvento e dice: “Quella è solo la parte di un tutto in macerie! Vai avanti, scuoti quella polvere dai sandali”. Così viviamo all’Aquila, dopo quattro anni. Dobbiamo imparare, ancora, forse è presto, ancora, per capire stralci di parole lontane: “… Se resto, c’è un andare nel mio restare; Se vado, c’è un restare nel mio andare”… C’è un andare nel nostro restare, c’è un restare nel nostro andare. Questa poesia di Gibran parla, non a caso, della casa che ti àncora indietro, e della strada, che ti proietta avanti. La regalavo sempre ai miei studenti prima dell’esame di maturità, stampata su carta pergamena, come augurio viatico per il loro futuro. “Restare e andarsene – spiegavo loro – sono la stessa cosa. Perché da lontano senti la parte di te che è rimasta, da vicino ascolti quella lontana che ti chiama”, spiegavo loro, prima della maturità. Non siamo maturi, noi, ancora, per capire queste scarne parole.
E’ presto, ancora: aspettiamo, impariamo, lavoriamo, ricostruiamo noi stessi, prima ancora delle case e delle strade. Prima o poi ricordare non sarà più un dolore, dimenticare non sarà più una fuga.

Luisa Nardecchia

palazzo del Lavoro

progetto di ristrutturazione e riqualificazione di ALBERTO APOSTOLI, su http://europaconcorsi.com

_mg_3676_largePhoto by Tommaso Cassinis

Il progetto parte dalla ristrutturazione di un condominio degli anni 60, parzialmente danneggiato dal sisma nelle sue partizioni verticali, per il quale, dopo alcuni interventi di legatura degli snodi strutturali principali, è stata realizzata la completa rivisitazione funzionale e architettonica. La ristrutturazione ha anche implicato la costruzione di parcheggi interrati e la sistemazione del terreno di pertinenza. Questo edificio è il primo intervento di riqualificazione di un comparto che include quattro edifici, in fase di progettazione, e la cui realizzazione è prevista nei prossimi tre anni. L’edificio è isolato sui quattro lati; non presenta una vera e propria facciata, ma si configura come una piccola torre su cui tutte le singole facciate hanno pari importanza. Tali facciate sono state attentamente pensate e realizzate attraverso piccole sporgenze geometriche a cui sono abbinati colori diversi ma complementari e in cui le aperture sono costituite da imbotti aggettanti. La realizzazione delle sporgenze avviene attraverso la diversificazione dello spessore della coibentazione esterna (cappotto) con una particolare attenzione alla finitura. Gli imbotti, bordati esternamente in acciaio lucido, accolgono serramenti in legno di rovere e contribuiscono all’illuminazione notturna di facciata. Il movimento geometrico e raffinato dei volumi crea, durante le varie ore della giornata, leggere variazioni che conferiscono all’edificio una dinamicità inaspettata.

_mg_3704_large_mg_3673_large_mg_3806_large_mg_3833_large_mg_3844_largePhoto by Tommaso Cassinis

riqualificazione scuola “E. De Amicis”

Redazione proposta migliorativa a livello definitivo, progettazione definitiva, progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori.

di GNOSIS ARCHITETTURA, su http://europaconcorsi.com, 16 mag 

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L’importanza dell’edificio nel quale ci troviamo ad operare non è solo ascrivibile agli oltre cinque secoli di storia dello stesso ma, soprattutto, per l’importanza che la fabbrica ha rappresentato per gli abitanti dell’Aquila. Fondato per volontà postuma di San Bernardino da Siena intorno al 1445–1447, fu edificato con il contributo di tutta la città che vedeva nella costruzione dell’ospedale un simbolo della capacità degli aquilani di pensare a se stessi come comunità. Mantenne così la funzione di nosocomio sino al 1909 diventando in quell’anno scuola elementare, ovvero altro importante simbolo e elemento di riconoscimento di una collettività che tra quelle mura ha trascorso gli anni migliori dell’infanzia. Così sino all’aprile del 2009 quando l’ennesimo terremoto ne ha minato la struttura senza, per fortuna cancellarne, le tracce. Perché sulle mura di un edificio, nelle pieghe degli intonaci, si sedimentano le vite, le storie di ci ha vissuto ed il restauro è, prima di tutto, un attento lavoro di ascolto, un paziente esercizio di ermeneutica delle pietre che deve mirare a tramandare quelle tracce, quelle forme, quelle pietre, quegli intonaci su cui è scritta la muta storia delle generazioni passate.

L_aquila_scuola_de_amicis__1__large© Gnosis Architettura 

In questa relazione, oltre ad indicare lo specifico approccio teoretico-metodologico con il quale il nostro gruppo intende partecipare alla gara, ci è sembrato opportuno dare immediato riferimento alle richieste del disciplinare di gara. Tuttavia ci pare doveroso premettere gli intenti del progetto di restauro proposto, che richiamano con forza due concetti essenziali:

L_aquila_scuola_de_amicis__2__large© Gnosis Architettura 

– quello di garantire la sopravvivenza fisica ed il buon stato di conservazione del complesso monumentale come documento materiale collettivo d’eccezione, attraverso il consolidamento delle strutture compromesse

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– quello del suo pieno recupero funzionale e sociale, che restituisca alla collettività quanto gli eventi traumatici e catastrofici hanno sottratto, rendendo nuovamente fruibile e, se possibile, in condizioni di comfort migliore.

L_aquila_scuola_de_amicis__4__large© Gnosis Architettura 

 Crediamo che fondamentale compito del progetto di restauro sia quello di non perdere la ricchezza documentaria ed emotiva del manufatto oggetto di intervento e di valorizzarne ed esaltarne a pieno il valore culturale. Una premessa decisiva all’attuazione di questo obiettivo è costituita dall’invito a riservare “ la medesima cura tanto alle preesistenze più nobili e grandiose, quanto a quelle minori e più povere, tutte ugualmente riconoscibili come ‘monumenti’ e ‘beni culturali’ a pieno titolo in quanto ‘testimonianze materiali aventi valore di civiltà’”, ribadita nelle carte del restauro, alla base della disciplina conservativa.

L_aquila_scuola_de_amicis__5__large© Gnosis Architettura 

In questa prospettiva l’assunto principale di riferimento su cui impostare le fasi metodologiche e progettuali ci sembra quello del rispetto del palinsesto in tutte le sue sfaccettature diacroniche e in tutti i suoi segni connotanti.

L_aquila_scuola_de_amicis__6__large© Gnosis Architettura 

Per quanto riguarda il complesso monumentale in oggetto in linea di principio si cercherà di ridare integrità formale e materiale alle strutture dell’immobile consentendo una lettura “stratigrafica” dell’intervento e della storia dell’immobile.

L_aquila_scuola_de_amicis__7__large© Gnosis Architettura 

Il progetto di conservazione (di trattamento dei materiali e di consolidamento delle strutture) sarà mirato a contrastare (se non ad arrestare) i fenomeni di degrado in atto e a combatterne le cause in modo da garantire la trasmissione dell’intero manufatto all’uso e alla fruizione attuale e futura.

L_aquila_scuola_de_amicis__8__large© Gnosis Architettura 

La documentazione dello stato di conservazione e degli interventi di restauro comprenderà la mappatura grafica e la redazione di un dossier fotografico, da articolarsi nelle fasi prima, durante e dopo il restauro.

L_aquila_scuola_de_amicis__9__large© Gnosis Architettura

In linea con le attuali tendenze del restauro critico, si ritiene però che il progetto il restauro della fabbrica debba essere concepito come un momento di evoluzione dell’edificio, attraverso un contributo contemporaneo capace di dialogare con la sua storia e le sue molteplici stratificazioni.

L_aquila_scuola_de_amicis__10__large© Gnosis Architettura

La salvaguardia dell’organismo da restaurare è altrettanto importante quanto la qualità dell’intervento contemporaneo e delle sue compatibilità con il contesto. A nostro parere è possibile conservare gli edifici antichi adattandoli alle nostre abitudini, rendendoli utilizzabili, sicure e contemporaneamente mantenendone il valore documentario.

Un progetto architettonico di qualità che come nuova scrittura si inserisce, senza violenza né cancellazioni, come tra le righe, nei punti più deboli e “vuoti”, del palinsesto, ne accresce –per così dire- il valore testimoniale ed emotivo complessivo, portando sul luogo un potenziale plus-valore che, dopo l’ultimo evento traumatico del sisma, parli della nostra generazione e del nostro rapporto con la prestigiosa preesistenza.

Un buon progetto di restauro è infatti il risultato della combinazione di due competenze disciplinari tra loro complementari: la competenza nel settore della conoscenza e della conservazione dei materiali e degli spazi antichi e quella nel settore della progettazione dell’ architettura. Per questo tipo di attività è richiesta una attitudine composita, capace di utilizzare e coordinare una vasta serie di competenze specialistiche, attitudine che il raggruppamento ritiene di raggiungere attraverso la partecipazione delle diverse competenze di cui si compone.

Da oltre un decennio l’introduzione del concetto di “offerta economicamente più vantaggiosa” modifica radicalmente i meccanismi dell’appalto pubblico. L’amministrazione non pone più a base di gara un progetto chiedendo alle imprese di proporre solo un ribasso sul prezzo ma affida l’opera valutando il concorrente anche in ragione delle “migliorie” che ritiene di proporre al progetto (appalto integrato). In questo caso è stato posto a base di gara un ottimo progetto preliminare ed è stato chiesto al raggruppamento di proporre delle “migliorie a livello di progetto definitivo”. Questa soluzione è ancora poco sperimentata (normalmente si lavora su di un progetto definitivo da “migliorare” per poi fare in caso di aggiudicazione il progetto esecutivo) ma dovrebbe consentire di dialogare con l’amministrazione al fine di proporre ad aggiudicazione avvenuta un progetto condiviso che possa rientrare nei principi di conservazione di cui sopra. In quest’ottica le “migliorie” sono state ampiamente dettagliate, nei limiti degli elaborati presentabili, al fine di consentire all’amministrazione di farsi un’idea precisa del gruppo di progettisti e dell’impresa con cui in caso di aggiudicazione avrà a che fare. Di seguito vengono descritte in dettaglio dette migliorie. Il dato comune delle stesse è ascrivibile a tre fattori: In prima istanza il rispetto del manufatto e della storia che esso rappresenta, in secondo luogo l’esigenza di rendere il fabbricato strutturalmente sicuro e in terza istanza proporre una serie di soluzioni architettoniche ed impiantistiche flessibili capaci di adattarsi alla funzione scolastica prevista o ad altre future funzioni pubbliche.

riconfigurazione urbana – un progetto per via XX Settembre

di Alfonso Di Felice, su http://europaconcorsi.com , 16 mag

(Premio ZOLDAN 2012)

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L’intervento nasce con l’obiettivo di creare un forte tessuto urbano in una zona quella a ridosso del tribunale “intra moenia” in cui si presenta frammentario e di scarso valore. Da questi presupposti si giunge alla creazione un’architettura “totale”, che attraversa il tempo e rilegge le fasi storiche di L’Aquila dalle origini. Il progetto è frutto di uno studio del costruito storico aquilano e da esso prende vita: l’antico percorso che da Piazza Duomo, attraverso la zona degli “horti”, conduce fino a Porta romana, è la direttrice che permette una continuità con il centro.

Questo percorso viene riproposto e preso come spunto per creare una piazza posta a ridosso di Via XX settembre, un nuovo polo urbano direttamente collegato con Piazza Duomo. La natura del vuoto è duplice e la semplice morfologia lo dimostra: un piano inclinato incastrato al suolo funge da copertura per le attività commerciali poste sotto e genera, al di sopra, un luogo di socializzazione. Il percorso storico “vive” di vuoti mentre quello preesistente carrabile Via XX settembre è di diversa natura perché su di esso si attesta un fronte unico di nuovi edifici residenziali (prevalgono i pieni) che separano la nuova piazza dal caos del traffico.

La dimensione umana è mantenuta grazie allo slargo pedonale che si crea sulla via e che permette l’affaccio sulla zona sottostante di Villa Gioia. Il fronte costruito da un lato è solido, mentre verso valle si smaterializza, si trasforma in pensilina attrezzata per servizi e zona di filtro tra strada ed affaccio. Esso costituisce una testata su cui possenti stecche residenziali perpendicolari alla strada si lanciano sul parco. Questa gerarchia del costruito genera “calate” pedonali che ricalcano i vicoli del centro storico e che collegano, su vari livelli, Via XX settembre e Villa Gioia (ove è ricavato un parco urbano). Tramite la nuova piazza inclinata, si passa sotto Via XX settembre (che altrimenti sarebbe stata una cesura del tessuto storico) attraverso un livello intermedio con una vocazione commerciale e si raggiunge il parco e le attrezzature connesse. Non è tutto.

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Su Via XX settembre nasce una torre come punto di fuga della forte prospettiva. In realtà essa è un solido geometrico puro destinato all’intera città, un cilindro rivestito da una gabbia in acciaio corten e vetro al fine di sfruttare l’irraggiamento solare ed accentuare la preziosità dell’oggetto. Posta sulla congiungente visiva due simboli aquilani la torre civica e la cupola di S.Bernardino, la torre è un progetto di orizzonti. A partire dal basamento ci sono residenze fino ad una forte interruzione: alla medesima quota di Piazza Palazzo c’è un giardino sospeso, spazio di aggregazione che ha la stessa natura dell’obiettivo che traguarda. La parte più alta è destinata ai servizi (fino alla quota della torre civica) ed a strutture ricettive. Sulla cima è inserita una grossa sfera incastrata tra il volume e l’esterno. Essa corrisponde per metà ad un vuoto del costruito e per metà ad un pieno (in cui è inserito un solarium): una cupola trasparente posta alla stessa quota di quella opaca di S.Bernardino La torre civica e la chiesa sono inquadrate da un taglio presente nel volume dell’albergo: l’oggetto è destinato alla città ma ha una direzione preferenziale. Esso è una sorta di solido platonico perfetto, un’ idea usata come “matrice” per la nascita e la crescita della città di L’Aquila. L’intervento è totale, investe tutto il costruito e sovverte lo scorrere del tempo: è come se la città si fosse sviluppata a partire dai dettami della torre.

storici dell’arte e ricostruzione civile

da http://www.italianostra.org , 05-05-2013

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Storici dell’arte e ricostruzione civile

Vedere con i propri occhi. Forse è questo il principale dovere professionale di uno storico dell’arte. Ed è proprio per questo che il 5 maggio tutti gli storici dell’arte italiani si sono riuniti all’Aquila: per vedere con i propri occhi la realtà – unica al mondo – di un centro monumentale straordinariamente esteso e straordinariamente importante semidistrutto e non restaurato.

C’era anche il nuovo ministro ai Beni e Attività culturali, Massimo Bray che è rimasto per l’intera durata della manifestazione per ascoltare direttamente da L’Aquila l’appello per la rinascita della città. Un segnale davvero importante dopo anni di non-governo e malgoverno del patrimonio culturale italiano.

Se nell’Italia del 2013 c’è un fronte in cui lo scempio del paesaggio e la distruzione del patrimonio artistico si fondono in un unico micidiale attacco alle libertà fondamentali dei cittadini, quel fronte è l’Aquila. Finalmente, terminata l’orrenda esperienza del commissariamento, sono partiti i primi ventitré cantieri: ma chiese monumentali come il Duomo sono spesso ancora a cielo aperto, o sono protette da ridicoli teli, e dunque in preda alla pioggia e alla neve. E di questo passo ci vorranno oltre vent’anni per riavere l’Aquila ‘come prima’. Ma a quel punto senza i cittadini: con un’intera generazione di non-cittadini cresciuta nelle non-città che sono le new town.

Il rischio è allora che qualcuno pensi di trasformare l’Aquila ricostruita in una specie di set cinematografico, o di disneyland antiquariale, fatto di facciate e gusci pseudo-antichi che ospitano servizi turistici in mano a potenti holdings economiche. Si tratterebbe, cioè, di fare all’Aquila in un colpo solo ciò che un lento processo sta facendo a Venezia o a Firenze: deportare i cittadini in periferie abbrutenti e mettere a reddito centri monumentali progressivamente falsificati.

È per questo che gli storici dell’arte sono andati all’Aquila: per portare, attraverso i loro occhi allenati, nella coscienza intellettuale di tutta Italia che cosa è, veramente, la tragedia dell’Aquila; per avviare una vicinanza di tutta la comunità scientifica della storia dell’arte alla ricostruzione materiale dei monumenti, con tutti i problemi enormi che le sono collegati; per riscoprire la vera identità della loro missione professionale. Per comprendere, cioè, che la storia dell’arte non serve a intrattenere ricchi signori attraverso le mostre mondane della domenica pomeriggio, ma serve a restituire – attraverso la conoscenza – ai cittadini italiani l’arte e la storia delle loro città.

All’Aquila il divorzio tra cittadini e monumenti è tragicamente evidente: ma questo è un destino che incombe su tutte le città d’arte italiane. Il 5 maggio gli storici dell’arte sono stati all’Aquila per affermare che non basta una ricostruzione materiale: è il tempo di una ricostruzione civile. Per l’Aquila, per l’Italia.

della ricostruzione, di Montanari e d’altro

Dialogo (epistolare) tra Luciano Belli Laura e Adriano Di Barba9 mag. ’13

ADB: …..ma non credi, caro Luciano, che la pianificazione abbia dato ripetute prove (in Italia e nei decenni) di clamorosi fallimenti e, sostanzialmente, di inutilità (quando non addirittura di tradimenti) delle intenzioni del pianificatore, attraverso i ripetuti stravolgimenti che ogni Piano ha subìto?

LBL: Purtroppo sì!

ADB: Non credi che lo strumento del PPA sia inadeguato e inattuale, specialmente se applicato a strumenti urbanistici traditi o stravolti dall’arrembaggio della speculazione?

LBL: Sicuro, ma era solo una proposta momentanea!

ADB: Non credi che tale strumento avesse un senso (teorico) in epoche di aggressione selvaggia dell’edilizia, per fronteggiare la rincorsa al costruire comunque e dovunque e che, in questa epoca scellerata e sfortunata, tali spinte siano state fiaccate dalla crisi economica?

LBL: Il PPA aveva senso nel compromesso trovato da Bucalossi per rendere la Concessione edilizia un potere in mano alla Pubblica amministrazione. Che, appunto con il PPA poteva anche decidere QUANDO costruire. Giacché, SE, COME E QUANTO costruire erano decisi tramite lo strumento urbanistico (destinazione d’uso dei suoli, con interventi diretti o con piani esecutivi, indici di fabbricabilità)

ADB: Non credi che in una situazione emergenziale, quale la ricostruzione dell’Aquila, non abbia alcun senso “nobilitare” un PRG vetusto, imbolsito e stravolto, come  dimostra la periferizzazione selvaggia della città, ante terremoto. Adesso, che senso avrebbe, disciplinare la ricostruzione sulle regole di un PPA svuotato dai fatti e superato dagli eventi? 

LBL: Nessun senso! Infatti il PPA non disciplina/disciplinava né la ricostruzione né la nuova edificazione. Semplicemente perché il Programma P. di A. non è un PIANO, ma solo un BILANCIO: delle entrate e delle uscite.

ADB: E allora: non avrebbe maggiore senso, andare a soppesare la valenza urbana del singolo progetto, uno per uno, valutandone il logico inserimento in un disegno urbano storico? Ad esempio, dando valore cogente, serio, al progetto “Asse centrale” e alle “6 aree a breve”, che secondo me sono l’unico documento utile sin qui prodotto (e naturalmente ignorato alla grande).

LBL: NO ! . Ma come si fa a dire che questo progetto è meglio di un altro? Forse, si può solo dire che questo progetto può essere realizzato prima di un altro. Perciò, per non fare favoritismi (o amministrazione clientelare) occorre avere un bilancio completo delle entrate e delle uscite. Che può essere anche temporalizzato. Tutto nella massima trasparenza e condivisione.

ADB: E infine: CHI, amministratore o tecnico, in quella sciagurata amministrazione comunale avrebbe le competenze e l’onestà di eseguire un tale lavoro di vaglio ragionato dei progetti, dopo aver favorito cani e porci e penalizzato poveri cristi o avversari di merende?

LBL: E allora? Muoia Cialente e tutti i Filistei … ? Ma quante volte? NON è più il tempo di … lagnarsi. Forse, è quello di lasciare ai giovani l’iniziativa ed aiutarli con la forza della memoria e della saggezza. Esagero?

Ora, caro Adriano, ti faccio leggere, quello che vorrei scrivere a Tomaso Montanari, a proposito del suo intervento del 5 maggio. Così mi puoi dire cosa ne pensi

 

A Tomaso Montanari

Forse, per restituire l’Aquila e i suoi monumenti ai cittadini aquilani ed alla nazione italiana, è ora [secondo il Vangelo di Tommaso (100,2-3)] di dare a Cesare quel che è di Cesare ed a Cialente quello che è di Cialente.

Voglio farlo da ex-insegnante semplice di Storia dell’Architettura che ho sempre privilegiato all’insegnamento di Disegno e Progettazione (o di Costruzioni e Tecnologia) perché convinto che, come nel salto in lungo, una valida rincorsa fosse il preludio d’una buona proiezione in avanti. Giacché persuaso che Architettura designi “una concezione ampia, perché abbraccia l’intero ambiente della vita umana”. Quindi: “non possiamo sottrarci all’architettura, finché facciamo parte della civiltà, poiché essa rappresenta l’insieme delle modifiche e alterazioni operate sulla superficie terrestre, in vista delle necessità umane, eccettuato il puro deserto.

Né possiamo confidare i nostri interessi a una élite di uomini preparati, chiedendo loro di sondare, scoprire e creare l’ambiente destinato a ospitarci, meravigliandoci poi dinanzi all’opera compiuta, e apprendendola come una cosa bell’e fatta. Questo spetta invece a noi stessi; ciascuno di noi è impegnato a sorvegliare e custodire il giusto orientamento del paesaggio terrestre, ciascuno con il suo spirito e le sue mani, nella porzione che gli spetta, per evitare di tramandare ai nostri figli un tesoro minore di quello lasciatoci dai nostri padri. (W. Morris, Prospects of architecture in civilization, in On art and socialism, London 1947; tr. it.: Architettura e socialismo,Bari 1963, p. 3).

E da osservante esterno della vicende di questi quattro anni, quindi da credente che, se i rappresentanti della maggioranza dei cittadini aquilani davvero desiassero restituire L’Aquila e i suoi monumenti alla comunità locale e nazionale, già da tempo avrebbero posto in essere quello che, quarantotto mesi dopo il terremoto, gli Storici dell’Arte hanno chiesto loro efficacemente il 5 maggio 2013.

Se costoro veramente volessero la ricostruzione della polis (in latino, urbs od oppidum) cioè della città in senso materiale e della polis (in latino, civitas) cioè della comunità avrebbero iniziato un quarantotto contro la new town progettata dal Governo Berlusconi nelle quarantotto successive alle 3 e 32 del 6 aprile 2009.

Invece, questo progetto alternativo alla ricostruzione com’era e dov’era della città (delle case, degli opifici e dei monumenti danneggiati o crollati) fu sostanzialmente assecondato purché spezzettato in C.A.S.E. (senza alcun opificio, negozio e spazio per la vita comune) localizzabili prevalentemente “vicino alle frazioni” più lontane. Più che altro per salvare dall’esproprio per pubblica utilità i terreni di maggior valore prossimi al centro storico. Cosicché, diciannove nuovi quartieri meramente residenziali (in modo blasfemo nomati new town dai costruttori di Cesare) furono trasformati in luoghi di deportazione della popolazione follata dal centro storico aquilano dal sisma e dal credo, in pio modo, d’urbanisti di Cialente.

Se costoro decisamente desiderassero la ricostruzione non deviata da interessi privati l’avrebbero attuata immediatamente inserendola in una pianificazione urbanistica governata dalla mano pubblicaInvece, mentre la Protezione civile di Bertolaso curava il passaggio dalle tende alle 183 nuove case dei 19 C.A.S.E., l’incivile protezione d’interessi speculativi e clientelari privati favoriva la costruzione d’una miriade di casette d’emergenza e di progetti di nuovi insediamenti residenziali e commerciali. Ovunque e comunque. In variante o secondo le previsioni d’un vetusto strumento urbanistico. Tanto inefficace per la pubblica utilità quanto fecondo per la privata proficuità. E mentre le risorse governative certe finivano prevalentemente nelle tasche d’italici costruttori ed arredatori delle new town (giacché solo le briciole andavano ad urbanizzatori, impiantisti e fornitori di torroni locali), le risorse incerte venivano progressivamente dilapidate da controllori (nazionali, regionali, locali; di ruolo e di nuova nomina), di progettisti, di contabili, di facilitatori ed affini.

Pianificando realmente (cioè dilazionando all’inverosimile) la ricostruzione della città. Tergiversando nel fare Piani Strategici inutili e Piani di Ricostruzione fasulli. Evitando rigorosamente di rifare il Piano Regolatore Generale ed abbandonare quindi la concertazione pubblico-privato per la realizzazione di NUOVE costruzioni ad immagine e somiglianza delle finte new town berlusconiane.

Se costoro concretamente concupissero rinunciare ad ogni progetto di trasformare l’Aquila in una sorta di Aquilaland, non avrebbero dovuto assecondare neppure la costruzione di teatri lignei nei luoghi dove stazionava il baraccone del tiro a segno. Nonché il trasferimento del mercato dalla centrale piazza apposita alla periferica Piazza d’Armi, allestita con piattaforme ellittiche di cemento e virtuali teatri a forma di liuto.

Se costoro effettivamente esigessero che L’Aquila risorga com’era e dov’era non avrebbero caparbiamente rifiutato di fare un semplice Programma Pluriennale di Attuazione della Ricostruzione. Che escludesse categoricamente ogni nuova opera fino alla chiusura di tutti i cantieri deputati a costruire quanto danneggiato e reso inservibile dal movimento tellurico dell’ultimo lustro. Ben prima di salire sulla barca di Barca per fare etichette con un cronoprogramma inattuabile da appiccicare ai muri ammuffiti delle case e dei monumenti.

Se costoro realmente reclamassero che la prima urgenza della politica nazionale fosse quella della difesa e della ricostituzione del patrimonio culturale, non avrebbero improvvisato periodiche stizzose rivendicazioni di governance e teatrali manifestazioni d’ammaino di bandiere e/o dismissioni di fasce tricolori. Avrebbero preteso (non elemosinato) che fosse stanziato quanto necessario ed indispensabile alla rinascita della città e della comunità. Senza il ricorso al gioco d’azzardo ed il beneplacito dei m.e.r.c.a.t.i..

Se costoro sul serio stabilissero di lasciar fare ai cittadini che credono nel diritto d’avere il diritto di ….!”

ADB:  … ehhh,, Luciano, le cose che tu dici a Montanari (sacrosante) sono ormai superate dalla rassegnazione dei cittadini; o dalla rabbia e dalla frustrazione di coloro che ormai arredano alla meno peggio la loro c.a.s.a, dopo aver sperato per 4 anni di tornare nella loro vera casa, ripescando le loro cose dalle casse e dagli scatoloni ammiffiti nelle cantine. O dall’opportunismo di chi ormai ha avuto il suo e quindi non ha nulla più da chiedere. O di chi è seduto al banchetto e non gliene frega altro che attendere che arrivino le portate più succulente dalle cucine (che ormai il tempo della cottura a puntino è trascorso).

Ma non vedi? Quel ***,  ***, ***, di sindaco, stasera litiga col prefetto perchè gli intima di rimettere le bandiere che ha fatto ammainare, e minaccia di destituirlo per decreto: così farà la parte della vittima o dell’eroe impavido e dell’artefice della resistenza e della ricostruzione della città.

Ier sera, in uno scambio di post su FaceBook, un nipote litigava ancora dopo 4 anni, con suo zio, sul costo unitario esorbitante e sospetto delle c.a.s.e…. cosa ti aspetti che facciano? o che vogliano sapere più di quanto gli sia già stato detto da tanti e in tante lingue? Se ti fa piacere che metta il tuo messaggio sul blog (anche se quello è diventato un vecchio catorcio inutile alla causa della “ricostruzione”), fammi sapere e mandami una bella foto; ma cosa c’è rimasto ormai da far vedere che non sia stato mostrato?

8 maggio
(foto Anna P. Colasacco)

foto Yar Man, nov 2012

L’Aquila in diretta

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il sismografo di Massimo

che sia sempre "piatto" e giallo ! immagine "on-line" da http://www.laquilaemotion.it/sismografo/laquilaemotion/sismotion.html

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