Archivio per gennaio 2010



ANIMAMMERSA

la musica e le voci di un popolo legato alla propria terra e che ogni volta dalla terra è risorto più forte.
perchè noi che c’eravamo non possiamo dimenticare e chi non c’era è bene che sappia!

L’Aquila, 6 febbraio 2010, h. 17,30

Ridotto del Teatro Comunale

Riaprire la città

16 gennaio, ore 11. Le riprese, in gran parte effettuate in Zona Rossa, mostrano la situazione attuale in alcune zone centrali e le conseguenze indotte dalla chiusura del Centro storico

(immagini e commenti di Adriano Di Barba)

Santa Maria Paganica

16 gennaio, ore 11,00: fervore di attività, ruspe, pale, camion, materiali e maestranze

…quelli che….avevano messo chiavi, tiranti e catene

macerie e monnezza, dopo 10 mesi;

conseguenze della chiusura della zona rossa: incuria e menefreghismo, impossibilità dei cittadini, anche volendo, di provvedere a riavviare la ricostruzione

il Carmine

la nostra “colonna” Santa Giusta

il Modulo Abitativo Provvisorio (M.A.P.) del micio: almeno lui può rimanere vicino a casa

assenza di maestranze, mezzi d’opera alla rinfusa, mancanza di opere provvisionali, protezioni e segnaletica, materiali di risulta non rimossi: pessimo cantiere.

RIAPRIRE LA CITTA’

com’era e dov’era

L’Aquila, maggio 2008, da GlobopiX

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dal Liceo Andrea Bafile, l’Aquila

Concorso di idee per L’Aquila Capitale Europea della Cultura 2019

In merito al dibattito sulla candidatura di L’Aquila Capitale della Cultura Europea 2019 abbiamo scoperto un’iniziativa del Liceo Scientifico Bafile dell’Aquila che sta portando avanti un progetto di coinvolgimento degli studenti. Ve lo proponiamo per evidenziare che, qualche volta, ci sono tante risorse sul territorio che rimangono inepresse ma che costituiscono un patrimonio per questo territorio.

PROGETTO “L’AQUILA 2019” – IDEE PER LA RICOSTRUZIONE

Il progetto nasce dall’esigenza di dare voce a tutti i nostri studenti, affinché superino il diffìcile momento post-sismico. Il grave evento vissuto e la particolare situazione esistenziale scaturitane creano infatti un prolungato disagio che può essere superato solo concentrandosi sul futuro, pensando in positivo, immaginando concrete ipotesi di ricostruzione, partecipando attivamente e consapevolmente al dibattito in corso sul futuro della Città. Peraltro, esauritasi la fase dell’emergenza, è proprio questo il momento di esercitare il diritto di esprimersi in merito al tipo di ricostruzione, e ciò vale soprattutto per i giovani, che saranno gli abitanti della futura Città post-sisma. La scuola, e la nostra scuola in particolare, può svolgere al riguardo un ruolo strategico, facendosi promotrice di un grande concorso di idee, nella convinzione che il terremoto è un grande lutto che chiede rispetto, ma può essere anche un grande acceleratore di mutamenti. Tante domande affollano infatti i nostri pensieri, ma se ADESSO non diciamo NOI cittadini cosa vorremmo, ci penseranno altri senza neanche consultarci. Queste sono le principali questioni sul tappeto:

•    Quale modello di città deve ispirare il progetto di ricostruzione?
•    Quale ruolo attribuire al centro storico nella nuova città-territorio scaturita dal sisma? »     Quali sono le priorità da realizzare (viabilità, servizi, restauro, etc.)?
•    Che tipo di restauro è preferibile attuare sugli edifici del centro storico?
•    Quali servizi è necessario attivare sul territorio e dove è preferibile localizzarli? »    Quali luoghi e quali modalità di aggregazione sociale è necessario predisporre?
•    Quali vocazioni è necessario incentivare ai fini dello sviluppo economico della città?

L’impegno propositivo-progettuale potrà esprimersi nelle forme che gli alunni riterranno più valide. Saranno in tal modo raccolte idee e proposte progettuali improntate a concretezza e fattibilità realizzativa, tendenti a riconvertire e riqualificare sotto il profilo architettonico, urbanistico, infrastrutturale e funzionale la Città e il suo territorio.

(da Il Capoluogo, 14 gen 2010)

Haiti

www.yele.org

La partecipazione dei cittadini per la rinascita della città

di Fabrizia Petrei (*), 12 Gennaio 2010

Il drammatico evento che ha colpito la città dell’Aquila ha fatto emergere nel suo significato più profondo il concetto -e l’urgenza- di interesse generale della collettività, considerato come promozione di una società civile veramente democratica, di una comunità di persone che sappia riconoscere nella persona umana il fondamento del suo costituirsi e del suo funzionare. Una polis democratica, cioè, formata da cittadini responsabili e da corpi intermedi che in essa trovino il terreno favorevole per esprimersi e per operare, per rinascere e crescere. I profondi, rapidi e complessi mutamenti territoriali, sociali, culturali ed economici che, a seguito del sisma dell’aprile scorso, hanno sconvolto il territorio impongono ora infatti a tutta la pubblica amministrazione un salto di qualità nei percorsi di coinvolgimento dei cittadini nel funzionamento del sistema democratico e nel processo di ricostruzione.

Si parla sempre più spesso a questo proposito di partecipazione della società civile e dei cittadini alle politiche pubbliche.

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La sfida è determinata in particolare dall’evolversi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, della società della conoscenza e del contesto normativo, con l’affermazione di diritti come quelli all’informazione, alla formazione e alla cittadinanza. Perché a L’Aquila sembra ora indispensabile raccogliere questa sfida? Perché la città deve necessariamente rinascere e per farlo ha bisogno della collaborazione e del coinvolgimento di tutta la comunità verso comuni obiettivi di interesse generale. Andare in questa direzione significherebbe innanzitutto, su un piano relazionale, rafforzare quel senso di identità, appartenenza e co-responsabilità già più volte dimostrato dai cittadini e favorire dialogo ed empatia tra gli attori e, conseguentemente, maggiore legittimazione e fiducia. Su un piano organizzativo-gestionale svilupperebbe capacità, competenze e conoscenze delle persone coinvolte, evidenziando gli aspetti prioritari su cui concentrare le risorse. Su un piano professionale introdurrebbe strumenti e modalità di aggiornamento professionale sull’organizzazione del lavoro, qualificherebbe risorse umane interne e offrirebbe occasioni di lavoro alle nuove generazioni per l’animazione di percorsi partecipati.

Da non sottovalutare anche i vantaggi di lungo periodo su un piano culturale: un rinvigorimento dei processi democratici locali, un ampliamento della conoscenza dei temi oggetto di discussione, un investimento sul capitale umano-sociale, verso una maggiore informazione, educazione, formazione e consapevolezza sui problemi e le possibili soluzioni in un’ottica di valorizzazione della diversità socio-culturale e di sviluppo sostenibile.

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È quindi necessario porsi degli obiettivi raggiungibili e intermedi. Il processo partecipativo passa infatti attraverso diverse fasi in cui il livello di coinvolgimento varia in maniera crescente. È auspicabile innanzitutto che la collettività venga informata su quello che sta accadendo, per assicurare nell’analisi dei problemi, alternative, opportunità e soluzioni. In secondo luogo può essere coinvolta nel fornire una risposta sull’analisi, le alternative e le decisioni stesse. In terzo luogo può subentrare la collaborazione/progettazione partecipata vera e propria, in cui gli attori sono coinvolti nei vari aspetti della decisione e delle modalità di realizzazione, fino ad arrivare ad innescare un vero e proprio processo di empowerment che favorisca un potere diffuso inteso come capacità e responsabilizzazione nel progettare e gestire decisioni e progetti.

La trasparenza, la circolazione delle informazioni, la comunicazione, l’ascolto, la rendicontazione -in questa cornice- anziché essere considerati dei concetti astratti, si concretizzerebbero ogni giorno, attraverso un reale processo di sussidiarietà verticale e orizzontale, nelle piccole e grandi decisioni che accompagneranno il percorso cittadino di ricostruzione e rinascita.

Fabrizia Petrei(*)

(*) Dott.ssa in Scienze della comunicazione pubblica, sociale e politica

la-partecipazione-dei-cittadini-per-la-rinascita-della-citta

l’Aquila abbandonata

di Cesare De Seta, su “L’Espresso”

Quantunque doloroso il terremoto del 6 aprile in Abruzzo non ha avuto le proporzioni del terremoto in Irpinia: i 297 morti sono ben lontani dai circa 3 mila dell’Irpinia nel 1980. I morti pesano sulla coscienza collettiva allo stesso modo, ma l’effetto di un sisma si misura anche nel modo in cui si è capaci di ridare dignità a quell’insieme di palazzi, chiese, strade, edilizia minuta che formano la città che si chiama L’Aquila ed i minuscoli centri storici tra le montagne.

Purtroppo L’Aquila, devastata da una secolare sequenza di terremoti, continua a sbriciolarsi sotto i nostri occhi: via Fortebraccio, via Bone Novelle, via San Martino, via Garibaldi, il Corso, i vicoletti di zona Pretatti e Ortolani sono delle scene mute e in abbandono. Solo i monumenti maggiori sono imbrigliati e la loro immagine ha fatto il giro del mondo, ma i soldi promessi per il loro restauro dai Grandi della terra al G8 non sono arrivati. La ‘lista delle nozze’, ebbe a definirla poco felicemente il ministro Bondi, s’è rilevata lista di nozze con i fichi secchi.

Ora i modelli che si offrono sono due: quello del Belice e dell’Irpinia da scansare, l’altro virtuoso del Friuli. Un lavoro capillare di ricostruzione e di sarcitura degli abitati preesistenti a Venzone e a Gemona diedero fiducia alle popolazioni e contribuirono decisamente al rilancio economico dell’area friulana.

L’Aquila è città orgogliosa di una sua storia, con poli di aggregazione di forte impatto monumentale e qualità artistica: attorno ad essi va ricomposto il tessuto edilizio. Esso è riconoscibile nell’iconografia urbana – basta sfogliare il volume di Clementi e Piroddi, edito da Laterza – per capire quale la metodologia ricostruttiva da seguire. Purtroppo la scelta compiuta dal governo va nella direzione opposta e le maggiori risorse sono volte alle così dette 20 news towns.

La grave carenza di risorse, il ruolo marginale delle Soprintendenze, esautorate e subalterne alla Protezione civile, l’assenza di una programmazione organica per il recupero e il restauro delle unità edilizie sono un dato di fatto inquietante. L’Aquila è una città storicamente consolidata nei secoli e il suo centro storico è tra i più degni d’Italia: i tempi del recupero non saranno brevi, perché non possono essere brevi, ma è l’unica via corretta da seguire con idonee risorse. La Direzione generale dei Beni storici, artistici e culturali, appositamente preposta a questi fini, deve alzare la voce, perché la stoltezza degli uomini può essere più dannosa del sisma. C’è un consenso reale nella volontà di ridare dignità a L’Aquila e al suo tessuto storico? Il sindaco dell’Aquila Cialente, il 13 maggio, dinanzi alle macerie, dichiarava imprudentemente al ‘Corriere della Sera’: “Voglio chiamare le archistar del pianeta, Renzo Piano, Isozaki, Fuksas, Calatrava… Voglio chiedere aiuto anche a loro. Affinché L’Aquila risorga più bella di prima”. Petrolini? Mi permetto di ricordare al sindaco che L’Aquila ha bisogno di bravi restauratori, di ditte serie nel recupero urbano, di architetti e tecnici capaci di suturare e sarcire, con umiltà, il tessuto urbano devastato dal sisma. Non sono questi lavori per archistar.

Il ministro Brunetta passerebbe alla storia se assumesse subito i 400 precari dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e rendesse stabile il ruolo di giovani preposti a queste discipline nelle Università: sarebbe investimento altamente produttivo in termini di costi e benefici. Purtroppo ancora una volta la terra ha tremato in dicembre a Perugia. Il ministro Bondi passerebbe alla storia se assumesse nel più breve tempo possibile tecnici per le Soprintendenze depauperate di cui in questo momento c’è bisogno come l’acqua agli assetati. Avrà il coraggio il governo di potenziare questi organici? Ci auguriamo che questo accada con un decreto (questa volta sarebbe benedetto!) del governo che dia mani, braccia, gambe e cervello a quel corpo che deve e dovrà continuare a operare per salvare L’Aquila.

L’Aquila non diventerà la Pompei del terzo millennio

di Achille Giuliani, su Abruzzo cultura, 10 gennaio 2010

via Roma, terremoto a L'Aquila

Sono andato via dalla mia città perché da ragazzo mi andava stretta, perché mi soffocava quella borghesia piccola piccola che fa morire i sogni e le idee, perché volevo conoscere quello che c’era oltre la cima delle montagne, perché volevo essere libero di decidere ma fuori dagli schemi.

Sono passati molti anni … troppi. Ho visto, ho conosciuto, ho vissuto … e ho deciso di tornare, per sempre. Non so quando ma lo farò. E lo farò perché devo farlo, perché mi sento in debito con la mia città e con la mia gente, perché ho nostalgia di loro. Perché ho nostalgia del casino sotto i portici, dei vicoletti che ti fanno da scorciatoia quando hai fretta, del profumo della pizza a tutte le ore del giorno, del caffè pomeridiano nei bar del centro, delle luci gialle che avvolgono il riposo di piazza Duomo, delle lunghe chiacchierate notturne che ti fanno battere i piedi a terra per il freddo.

Ora tutto questo non esiste più, vive solo nel ricordo ma non è un ricordo sbiadito perché dentro di me vive come la più sfrenata delle passioni, carnale e irresistibile. Tornare a vivere in questa città significa essere pazzo? E chi se ne frega! Rispetto i pazzi perché dicono quello che pensano e ho sempre creduto che i pazzi potevano essere tutti gli altri, quelli che non la pensano come me, quelli che non amano le strade in salita e con le curve … ma io sono aquilano e le strade di montagna non mi spaventano, fanno parte della mia natura.

Non mi sento un romantico idealista o un cane randagio bramoso di frugare nella spazzatura della città abbandonata. Mi sento un aquilano che vuole riprendersi la sua città, perché L’Aquila è stata fondata dagli Aquilani quando regnava l’immobilismo del papa e dei re, perché mi viene rabbia quando la mia gente – che oggi ha imparato anche ad aspettare troppo – grida “Ridateci le ali che torneremo a volare”, perché mi fa male quando leggo che L’Aquila diventerà la Pompei del terzo millennio e mi fa male perché non l’accetto come una verità, questa è una mezza verità o peggio è una verità distorta.

Pompei è una città morta, pietrificata. Le sue case sono pietrificate, i suoi animali sono pietrificati, i suoi uomini, le sue donne, i suoi vecchi e i suoi bambini sono pietrificati, i suoi oggetti sono pietrificati invece all’Aquila di pietrificato c’è solo il cuore di chi non ha mai avuto una coscienza (né prima né dopo il 6 aprile) e ogni volta che tra le macerie della mia città incontrerò una mamma con il pancione che sorride alla vita, una coppietta di adolescenti che si giura l’amore eterno con un bacio appassionato o una donna forte che asciuga le lacrime del suo uomo nessuno potrà convincermi del contrario: L’Aquila non diventerà mai una Pompei, neanche in questo millennio, almeno per i pazzi come me.

radici….

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2 città a confronto….

…e una zona rossa

nella planimetria in basso a destra, la zona rossa che interessa il Centro Storico de L’Aquila (gennaio 2010).

Alla medesima scala di rappresentazione grafica, in alto, una porzione del Centro Storico di Roma.


foto Yar Man, nov 2012

L’Aquila in diretta

webcam da www.MeteoAQuilano.it
da www.caputfrigoris.it

il sismografo di Massimo

che sia sempre "piatto" e giallo ! immagine "on-line" da http://www.laquilaemotion.it/sismografo/laquilaemotion/sismotion.html

Archivio post

Massimo Giuliani: “Il primo terremoto di Internet” (libro o e-book)



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