di Maria Laura Menghini , 2 dicembre
Sull’Aquila io mi sto perdendo. Tu mi chiedi aiuto, e te ne ringrazio, ma dopo 20 mesi è difficile per tutti tenere il filo delle cose e la consequenzialità, specialmente in un paese dove l’entropia avanza e si chiude la Camera per prendere tempo. Proviamo a fare una scaletta, il solito algoritmo, ma sarà difficile.
(aiuterebbe un file excel !)
Come osservatori esterni del processo si è travolti da un numero impressionante di dati multimediali e la rete ha contribuito moltissimo a formare questa corposa mole ricca di contributi personali e collettivi, di informazioni tecniche e psicosociali. Tutti abbiamo avuto modo di dire la nostra, alcuni di approfittarne per avere visibilità. Abbiamo assistito a centinaia, migliaia, di trasmissioni televisive di diverso orientamento. Altrettanto impressionante è il numero di eventi, manifestazioni, convegni e riunioni da parte di tutti i soggetti interessati. Oggi, 2 dicembre ci risvegliamo con un’alluvione annunciata e ci chiediamo qual è il punto del processo in cui siamo collocati.
Vediamo le parole d’ordine. Sembra tanto bello lanciare una parola d’ordine che riassume una strategia ma spesso i risultati non corrispondono alle intenzioni.
– Superficialmente abbiamo all’inizio detto “anastilosi“. Avremmo però dovuto sapere cosa era anastinabile. Ci saremmo così resi conto che molte delle opere che ritenevamo di gran pregio, e mi riferisco in particolare alle chiese romaniche, in realtà avevano negli anni ’60 – ’70 subito dei pesanti e criticabili rimaneggiamenti con la distruzione delle componenti barocche e l’inserimento di materiali non congrui con le preesistenti strutture e che hanno contribuito ai crolli.
– E’ stato detto “dove era e come era” e in questo slogan c’era tutta la sfiducia nella capacità di realizzare belle e nuove cose da parte dei soggetti che sarebbero stati incaricati a farlo, perché in cuor nostro sapevamo già che gli incarichi sarebbero stati dati a quelli che alle 3 e 32 ridevano. Sfiducia anche globale nella creatività del tempo in cui viviamo che certo non è un nuovo Rinascimento. Eppure l’Aquila fascista e l’Aquila liberty sono belle e, se non sbaglio, sono anche i luoghi prediletti dalla popolazione per il passeggio e la residenza. E poi, perché Pettino dove era e come era? Perché le brutte case popolari all’angolo dei Quattro cantoni dove erano e come erano? Perché i palazzi anni ’60, inseriti in pieno centro storico dovrebbero essere recuperati?. Mi chiedo chi sia in grado di discernere il bello e valevole dal brutto ed effimero.
– E’ stato detto “prima vengono le persone poi l’arte e l’ambiente” . In questa logica, che sposa perfettamente il pensiero berlusconiano, sono stati devastati ettari di territorio, si è speculato selvaggiamente sulla localizzazione degli espropri e si è effettivamente data la casa a un considerevole numero di persone che ora tentano di tornare alla normalità aggregandosi nei centri commerciali sorti come funghi, uno addirittura con l’irridente nome di “quattro cantoni“.
– E’ stato detto “le tolgo io le macerie“ ; ma poi si scopre che a L’Aquila non ci sono maestranze, non c’è gente sufficiente per interventi pesanti. Si scopre che le macerie sono tossiche e non si sa dove portarle, che dividere le pietre dall’eternit è difficile e pericoloso, che forse i termovalorizzatori servono veramente e così via parlando, discutendo, arzigogolando nei sost mentre le macerie lì stanno.
– E’ stato detto “trasparenza“; quando poi nella realtà chi ha risolto il proprio problema lo ha fatto nell’ambito di un rapporto esoterico con i preposti di turno, amici d’infanzia, colleghi di appartenza e di discendenza.
– E’ stato detto “no alle tasse“, assimilando i redditi di trasferimento da pensione e del pubblico impiego con i redditi di chi rischia in proprio delle attività commerciali e nelle imprese.
Noi che siamo fuori non abbiamo titolo per parlare e facilmente possiamo essere tacitati dal ricordo dei morti, dal terrore delle scosse, dalle notti in tenda.
Ma noi da fuori vediamo che molto è stato fatto e tanto è stato speso. Per trasformare una cittadina di 70’000 abitanti con un centro, un semicentro e varie periferie in un agglomerato informe di quartieri dormitorio, rotatorie, aeroporti, chiese, scuole, centri di aggregazione senza alcuna coerenza urbanistica e con l’intenzione di partenza di raccordare una distribuzione abitativa, di funzioni e di servizi mediante altre infrastrutture, altro scempio di territorio, altri investimenti speculativi. E uso di materiali vili, latta, cartongesso, pannelli prefabbricati, legno lamellare, progetti di professionisti di bassissimo profilo.
E intanto il centro storico resta sì immoto riguardo agli interventi. Ma non riguardo alla proprietà, che nel baillamme mediatico è passata silenziosamente in altre mani che lascio a te individuare.
Posso immaginare per il futuro il recupero di vaste aree da destinare a edilizia residenziale di lusso, a uffici e attività commerciali di varia tipologia. Finanche il restauro di alcuni monumenti e palazzi senza essersi curati di inventariare ciò che è andato perso o rubato.
Quello che vorrei sapere, però, è quale sarà la funzione socioeconomica de L’Aquila e dei suoi abitanti. Immagino un setaccio virtuale che separi i veri terremotati, senza casa, senza lavoro, senza futuro da quanti comunque insistono nel terremoto ma ne sono di fatto fuori, spesso si autonominano leaders della ricostruzione e già guardano lontano.
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